NPE e calendar provisioning – le criticità delle nuove misure adottate in ambito europeo
Published on 3rd Feb 2021
Le esposizioni deteriorate (non-performing exposures – NPE) sono crediti delle banche che presentano il rischio di non essere pienamente rimborsati, rispettando le condizioni contrattuali.
A seguito della crisi economica del 2008 e del conseguente esponenziale aumento di NPE, il legislatore europeo, su impulso e pressione delle autorità di regolazione, ha adottato una serie di interventi normativi per affrontare tale fenomeno e per impedire l’accumulo di NPE nei futuri bilanci delle banche europee.
Ci si riferisce in particolare al “Reg. UE 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 Testo rilevante ai fini del SEE” (c.d. Capital Requirement Regulation 2013), il quale ha sancito le condizioni essenziali in presenza delle quali un debitore possa considerarsi in stato di default, imponendo alle banche una definizione uniforme di esposizione deteriorata, nonché alla successiva modifica introdotta con il “Reg. (UE) 2019/630 del PARLAMENTO EUROPEO e del CONSIGLIO del 17 aprile 2019 che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda la copertura minima delle perdite sulle esposizioni deteriorate”, con il quale è stato stabilito un limite prudenziale di accumulo di NPE da parte di tutte le banche dell’Unione Europea, introducendo dei livelli di accantonamenti minimi per le esposizioni classificate come non-performing e una “calendarizzazione” delle svalutazioni dei crediti deteriorati (c.d. calendar provisioning).
All’indomani dell’entrata in vigore delle nuove normative europee, emergono però le prime criticità e i possibili danni collaterali di tali stringenti misure – definite dall’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nicola Nagel, come “una bomba atomica” per i bilanci delle banche - soprattutto nell’attuale contesto pandemico.
Il primo punto problematico riguarda l’entrata in vigore dal 1 gennaio 2021 della nuova definizione di “default di un debitore”, introdotta all’art. 178 del Reg. UE 575/2013, in base al quale le banche sono tenute a seguire una rigida classificazione delle esposizioni non-performing secondo due approcci:
(i) oggettivo: il debitore è in arretrato da 90 giorni;
(ii) soggettivo: la banca giudica improbabile che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione di garanzie (c.d. UTP), considerando dunque le inadempienze probabili come una sofferenza.
Tale norma era stata pensata dal legislatore del 2013 per un sistema bancario ormai libero dal peso degli NPE derivanti dalla grande crisi del 2008 e, in un “ordinario” 2021, sarebbe stata senz'altro appropriata ed efficace per mantenere un livello basso di NPE in Europa.
Tuttavia, nell’attuale contesto dove pressoché tutti gli Stati membri sono stati messi in ginocchio dalla pandemia, tale rigida definizione di default rende praticamente impossibile distinguere la crisi transitoria e fisiologicamente derivante dal Covid-19 da una crisi strutturale non transitoria, con aumento dell’entità di NPE nei bilanci delle banche.
Il calendar provisioning, invece, trova applicazione alle esposizioni originate dopo il 26 aprile 2019 e ha introdotto un approccio secondo cui, tanto più a lungo un’esposizione rimane deteriorata, tanto minore sarà la probabilità di recupero del relativo valore. Secondo la nuova normativa, le banche devono prevedere dei livelli minimi di accantonamento prudenziale (c.d. minimum loss coverage) per ogni singola esposizione deteriorata e la quota dell’esposizione coperta da accantonamento dovrebbe via via aumentare nel tempo, secondo un calendario predefinito.
Più in particolare, è previsto lo stesso calendario indipendentemente dal motivo per il quale l’esposizione è deteriorata, con previsione di un calendario più rigoroso per le esposizioni deteriorate non garantite. È, infatti, prevista una svalutazione totale e una deduzione piena dal capitale delle banche di NPE in 3, 7 e 9 anni a seconda che il credito deteriorato sia rispettivamente chirografario, garantito o garantito da immobili.
In mancanza di un intervento di rinvio della normativa, nei prossimi mesi è dunque verosimile che aumentino significativamente tanto le NPE, alla luce della stringente definizione europea, così come, nell’attuazione del calendar provisioning, le necessità di accantonamenti, con consistenti e pesanti riflessi sui bilanci e/o il capitale delle banche. Pertanto, non può che essere condiviso il timore già espresso dall’AD di Mediobanca che la nuova definizione di default, in combinazione con il calendar provisioning, porterà le banche ad una maxi-svalutazione dei crediti e ad una conseguente un’ondata di ricapitalizzazioni.
Da ciò il rischio è che le banche arrestino l’erogazione del credito in ogni sua forma alle imprese classificate come UTP, con tutte le conseguenze che tale scelta potrà comportare nell’attuale contesto pandemico.