Lending Crowdfunding: anche l’Italia è pronta per il mercato dei finanziamenti alternativi a favore delle imprese?
Published on 12th Jun 2015
L’Italia è pronta per il mercato dei fi nanziamenti alternativi a favore delle imprese?
Sarà una sfi da utilizzare una piattaforma che gestisce le richieste di fi nanziamento e ricerca soggetti disponibili a partecipare, in quota parte, all’erogazione del fi nanziamento a favore del richiedente, ricevendo in cambio una remunerazione del capitale sotto forma di interessi.
Il 2014 è stato l’anno dell’equity crowdfunding in Italia: a seguito dell’entrata in vigore delle relative norme, sono stati autorizzati ad operare ben 11 portali per la raccolta di capitali online (divenute 12 all’inizio del 2015), che hanno promosso 15 campagne, 4 delle quali chiuse con successo (con una raccolta totale di oltre 1.300.000,00 euro) mentre altre 5 sono terminate senza raggiungere il target previsto.
I mercati più evoluti, come gli Stati Uniti ed il Regno Unito, hanno nel frattempo dimostrato un’esplosione dei volumi nel c.d. lending crowdfunding, suddiviso tra il consumer lending (prestiti agli individui) e il peer to business lending (prestiti alle imprese).
Il modello è simile a quello dell’equity crowdfunding, con la differenza che nel caso del lending crowdfunding, la piattaforma gestisce richieste di finanziamento (e non di investimento) e ricerca soggetti disponibile a partecipare, in quota parte, all’erogazione del finanziamento (e non al capitale sociale) a favore del richiedente, ricevendo in cambio una remunerazione del capitale sotto forma di interessi.
Particolare rilevanza ha quindi assunto il peer to business lending, quale strumento utilizzato per concedere finanziamenti alle piccole e medie imprese, come sistema alternativo a quello bancario.
Nel solo 2014 sono stati concessi finanziamenti per circa 8 miliardi di dollari nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ma si stima che tali importi potrebbero raggiungere la ragguardevole cifra di 40 miliardi di dollari già nel 2016 [1] ; la ricerca recentemente pubblicata da Nesta [2] , riferisce in particolare che nel Regno Unito, il totale della raccolta dei finanziamenti ha raggiunto 1,74 miliardi di sterline (rispetto ai 400 milioni nel 2013) così suddivisi: 749 ml di finanziamenti alle imprese, 547 di finanziamenti agli individui e 270 ml per lo sconto delle fatture. Numeri da capogiro che fanno quasi passare in secondo piano le raccolte di capitale realizzate tramite l’equity crowdfunding.
Sia in Francia che in Germania sono stati erogati circa 40 milioni di euro (più 300% rispetto al 2013), mentre in Italia, dove operano solo due piattaforme che si occupano esclusivamente di finanziamenti agli individui, si è raggiunto il valore dei 20 milioni di euro; è evidente come in Europa esista quindi un mercato di notevoli dimensioni che, anche in Italia, ha cominciato ad attirare l’attenzione di molti operatori.
Tuttavia in Italia, a differenza di quanto è avvenuto in Inghilterra ed in Francia, non è stata adottata alcuna specifica normativa o regolamentazione per disciplinare l’attività delle piattaforme di lending crowdfunding e le modalità di raccolta dei finanziamenti.
Così la Banca d’Italia, per le piattaforme che intendono svolgere attività di lending crowdfunding, ha sancito l’obbligo di ottenere una licenza per operare come Istituti di Pagamento, ex art. 114-sexies del Testo Unico Bancario (“TUB”), ovvero come intermediari finanziari autorizzati ex articolo 106 del TUB, a differenza di quanto avviene in Francia ed in Inghilterra dove invece sono stati creati dei regimi autorizzativi speciali più semplici (così come è stato fatto in Italia per i gestori di portali di equity crowdfunding).
Va detto che, fino ad oggi, le piattaforme italiane hanno consentito ai lenders di partecipare solamente all’erogazione di finanziamenti a favore di individui (consumer lending) e che non hanno ancora sviluppato l’attività di raccolta di finanziamenti a favore delle imprese (peer to business lending), disertando quel mercato che, come abbiamo visto dall’analisi compiuta nei paesi anglosassoni, risulta di maggiore interesse e rilevanza.
Gli obblighi di compliance regolamentare in vigore in Italia sono sicuramente una prima barriera all’ingresso sul mercato italiano per le piattaforme straniere che operano sulla base di un regime autorizzativo semplificato che non sarebbe riconosciuto nel nostro ordinamento, ma a questo si deve aggiungere anche la peculiarità della normativa italiana che limita le possibilità di erogare finanziamenti alle società di capitali.
Mentre sembra superata la problematica di cui all’articolo 10 del TUB, in relazione alla riserva a favore delle banche della raccolta di risparmio tra il pubblico e dell’esercizio del credito, considerato il modo in cui operano le piattaforme di lending crowdfunding (che si limitano a metter in contatto azienda richiedente e prestatore), appare più complessa la soluzione connessa alla limitazione prevista dall’articolo 11 del TUB che, in relazione ai finanziamenti alle società, non consente l’attività della raccolta del risparmio tra il pubblico ai soggetti diversi dalle banche e demanda ad apposita delibera del CICR le esenzioni alla suddetta limitazione quando realizzata presso specifiche categorie di soggetti.
La deliberazione adottata dal CICR in data 19 luglio 2005 stabilisce che, per le società di capitali, non costituisce raccolta tra il pubblico la raccolta effettuata presso i soci, i dipendenti o le società del gruppo, ovvero quella realizzata sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti.
Consentire ad una società di capitali di raccogliere finanziamenti tramite una piattaforma di lending crowdfunding appare quindi complicato, a causa delle disposizioni normative esistenti, che furono adottate quando non esisteva ancora il lending crowdfunding, modello di disintermediazione del sistema tradizionale del credito, che unisce la potenza e lo sviluppo della rete internet alla possibilità di gestire servizi di pagamento tra un elevato numero di finanziatori e richiedenti.
L’adozione di una normativa che consenta di armonizzare il Testo Unico Bancario con questo nuovo strumento di finanza alternativa, renderebbe più semplice lo sviluppo del mercato dei finanziamenti alternativi alle imprese anche in Italia, che poi è il paese europeo con il più elevato numero di PMI e quindi di potenziali richiedenti.
Segnaliamo infine la rilevanza della normativa fiscale applicabile agli interessi percepiti su questa tipologia di finanziamenti che, ad oggi, sembrerebbero essere soggetti all’aliquota marginale del percettore e non all’imposta sostitutiva; inoltre così come accaduto per la normativa applicabile ai mini-bond, sarebbe necessario prevedere che i finanziamenti assistiti da eventuali garanzie (ipoteca o altro) siano assoggettati al regime dell’imposta sostitutiva opzionale.
[1] Liberum, The market Place lending investment opportunity, 11/2014
[2] Nesta e University of Cambridge, Understanding Alternative Finance, November 2014
Pubblicato su InVice (Investment & Asset Management), febbraio 2015, p 18.