La risoluzione per eccessiva onerosità di opzione di vendita di partecipazioni societarie
Published on 9th Sep 2014
Traendo spunto dalla sentenza del Tribunale di Milano, l’autore descrive le peculiarità dell’applicazione dell’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità al contratto di opzione e quindi ai contratti di cessione di partecipazioni societarie quotati su mercati regolamentati, con particolare attenzione alla qualificazione giuridica di tali contratti quali contratti commutativi o aleatori, nonché alla definizione della loro normale alea contrattuale.
Commento a sentenza Tribunale Milano 22 gennaio 2014
Il Tribunale di Milano torna ad occuparsi della validità di una opzione put avente per oggetto il trasferimento di un pacchetto azionario, ma questa volta per affrontare la questione della possibile risoluzione del contratto ai sensi dell’art.1467 c.c. per eccessiva onerosità. Più in particolare il Giudice milanese, chiamato appunto a pronunciarsi sulla domanda di risoluzione di un’opzione di vendita di un pacchetto di azioni quotate su mercato regolamentato promossa dall’attore, soggetto gravato dall’obbligo di acquisto, affronta l’interessante questione della natura aleatoria o commutativa di un contratto di opzione di vendita di azioni a prezzo fisso ed invariabile nello specifico caso in qui i titoli oggetto di cessione siano quotati in borsa [1] .
E’ infatti bene premettere che l’applicazione della disciplina di cui all’art.1467 ai contratti di compravendita di partecipazioni societarie non comporta specificità particolari in merito alla valutazione sulla esistenza della eccessiva onerosità e dei requisiti della sopravvenienza, straordinarietà ed imprevedibilità, tanto da poter essere richiamati i principi in materia ormai consolidati in giurisprudenza e dottrina [2], più approfondita analisi merita l’applicazione della disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta alle opzioni e l’analisi sulla natura aleatoria o commutativa in generale dei contratti di cessione di partecipazioni. Infatti l’art.1467 c.c. prevede che nei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita, il contraente che vede divenire eccessivamente onerosa la propria prestazione a causa di fatti sopravvenuti ed imprevedibili alla stipula dell’accordo, può chiedere la risoluzione del contratto a meno che tali eventi non rientrino nella normale alea contrattuale ovvero, ai sensi dell’art.1469 c.c., il contratto di cui si chiede la risoluzione non sia aleatorio. Ne discende che la verifica della sopravvenienza di fatti straordinari ed imprevedibili tali da rendere eccessivamente onerosa una delle prestazioni prevista in contratto, ovvero il rapporto tra le due prestazioni, è indissolubilmente connessa con la identificazione della natura commutativa ovvero aleatoria del contratto e, qualora si versi nella prima ipotesi, con la valutazione dell’estensione della normale alea del contratto commutativo.
La risoluzione per eccessiva onerosità e il contratto di opzione ex art.1331 c.c.
Pur concludendo per il rigetto della domanda attorea di risoluzione ex art.1467 c.c. dell’accordo di opzione il Giudice non solleva alcuna eccezione in merito all’applicabilità dell’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ad un accordo di opzione ex art.1331 c.c. La questione tuttavia appare la prima da analizzare visto che l’art.1467 c.c. limita l’applicabilità dell’istituto ai contratti “a esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita”, cioè a categorie contrattuali alle quali difficilmente si può ricondurre la figura complessa dell’accordo di opzione e alle quali sicuramente non appartiene un contratto ad esecuzione immediata quale la compravendita di partecipazioni societarie.
Il contratto di opzione, come recentemente ricordato dal Tribunale di Milano, è “una fattispecie a formazione progressiva della volontà contrattuale inizialmente costituita da un accordo avente per oggetto la irrevocabilità della proposta del promittente e, in seguito, dalla eventuale accettazione del promissario, che – saldandosi immediatamente con la proposta irrevocabile precedente – perfeziona il negozio giuridico” [3]. Si potrebbe sostenere, come in effetti da qualcuno ipotizzato, che detto negozio giuridico non possa essere ascritto ai contratti ad esecuzione differita [4], negando conseguentemente l’applicabilità del rimedio di cui all’art.1467 c.c. all’accordo di opzione.
Viceversa appare preferibile la soluzione proposta da chi ritiene che la natura dell’accordo di opzione, quale figura autonoma a formazione progressiva, comporti necessariamente la valutazione complessiva del contratto di opzione, inteso come accordo strumentale, e dell’accordo definitivo (concluso per effetto dell’accettazione della proposta da parte del titolare del diritto di opzione) ai fini della applicazione della disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità [5][6]. Pare infatti a chi scrive che, ferme le diverse declinazioni delle teorie dottrinali che ammettono l’applicazione della disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità all’accordo di opzione, l’assoggettamento anche degli accordi disciplinati dall’art.1331 c.c. ai rimedi di cui agli art.1467 c.c. e 1468 c.c. sia soluzione più rispettosa dell’evidente intento del legislatore di applicare l’istituto della eccessiva onerosità sopravvenuta a tutte le ipotesi di negozio giuridico caratterizzate da una separazione temporale tra la conclusione dell’accordo e la sua esecuzione o efficacia [7].
Si giunge così a concludere che ove il contratto finale del processo a formazione progressiva sia un contratto bilaterale, l’intero accordo è soggetto a risoluzione per eccessiva onerosità ex art.1467 c.c., ove invece si tratti di un contratto con obbligazioni assunte da una sola delle parti esso deve assoggettarsi alla disciplina di cui all’art.1468 c.c. che prevede la riconduzione ad equità del contratto. In adesione a tale pensiero, il Giudice non si sofferma su tale aspetto per passare direttamente alla valutazione della sussistenza dei requisiti necessari per l’accoglimento della domanda ex art.1467 c.c.
La natura aleatoria o commutativa dell’opzione di cessione di partecipazioni.
Una volta concluso che l’accordo di opzione avente per oggetto la formazione di un contratto di cessione di partecipazioni è contratto soggetto alla disciplina dettata dall’art.1467 c.c., è necessario verificare se lo stesso sia contratto aleatorio o commutativo e, qualora si concluda per la seconda qualificazione, quale sia la normale alea propria di tale contratto. Il combinato disposto dell’art.1467 c.c. e dell’art.1469 c.c. esclude, come ricordato, l’applicazione della disciplina della risoluzione per eccessiva onerosità tanto per i contratti aleatori, quanto per i contratti commutativi ma dotati di una normale alea di tale estensione da ricomprendere nella stessa il rischio poi manifestatosi quale causa della eccessiva onerosità.
E’ bene partire proprio dal caso risolto dalla sentenza commentata, per poi approfondire le argomentazioni contenute nella stessa. L’attore, tenuto all’acquisto delle azioni oggetto del diritto di opzione di vendita ad un prezzo fisso superiore a quello risultante dalla sua quotazione di borsa, adiva il Tribunale per sentir dichiarare, in via principale, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. Nell’articolare la propria domanda l’attore individuava la causa straordinaria ed imprevedibile nella crisi dei mercati finanziari del 2008, che aveva a suo dire causato una anomala riduzione del prezzo di borsa delle azioni oggetto dell’opzione put. Il Giudice non solo concludeva per la non ricorrenza della straordinarietà e imprevedibilità della causa alla quale l’attore attribuiva l’intervenuta eccessiva onerosità del negozio, ma altresì coglieva l’occasione per affrontare incidentalmente la questione della natura commutativa ovvero aleatoria del contratto di opzione di cessione di partecipazioni societarie quotate su mercato regolamentato.
Molto interessante è il richiamo effettuato in sentenza alla difficile connotazione della natura commutativa o aleatoria di un accordo di put option di cessione di azioni quotate in borsa, assimilato dal Giudice ai contratti derivati [8]. Sul punto il Giudice cita una precedente decisione del medesimo Tribunale [9] nella quale, in merito a contratti derivati stipulati sotto forma di opzione, si afferma che lo scopo perseguito dalle parti nello stipulare tale contratto è, tra l’altro, l’assunzione da parte di ciascun contraente del rischio di modificazione delle condizioni contrattuali, le quali se all’atto della stipulazione sono certe, sì da far propendere per la natura commutativa dell’accordo, possono modificarsi sensibilmente nel corso del rapporto contrattuale a favore dell’una o dell’altra parte, sì da rendere difficoltosa la riconducibilità del negozio alla categoria dei contratti commutativi ovvero a quella dei contratti aleatori. Il dubbio viene tuttavia superato dal Giudice il quale ritiene assorbita la questione relativa alla classificazione del contratto, dalla valutazione della estensione dell’alea normale del contratto secondo la motivazione che si riproduce:
“- che, in ogni caso, la struttura di tale contratto consiste nella dipendenza (o derivazione appunto) del contenuto della prestazione di una delle parti dalla variazione dei dati economici (il c.d. sottostante);
– sicché comunque nel caso di specie la variabilità dell’andamento del titolo appare di per sé inerente all’oggetto del contratto,
– in ogni caso dunque non legittimando la risoluzione per eccessiva onerosità alla stregua della disciplina di cui al secondo comma dell’art.1467 c.c.”
In sintesi il Giudice non conclude per la natura aleatoria dell’accordo di opzione, pur sembrando propendere per la stessa, ma esclude la possibilità di risolvere il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art.1467 secondo comma c.c., in quanto la fluttuazione, anche rilevante, del prezzo del titolo quotato in borsa rappresenta, a suo avviso, un evento ricompreso nella normale alea dell’accordo di opzione. La condivisibile conclusione del Giudice è spunto per una più approfondita analisi del tema. La distinzione tra contratti commutativi e contratti aleatori risiede nella natura delle controprestazioni dedotte nel contratto: nei contratti commutativi l’entità delle singole prestazioni è certa all’atto della conclusione del contratto e tale è destinata a rimanere nell’evoluzione del rapporto, eccettuate le modifiche che sono rientranti nella normale alea del contratto.
All’opposto nei contratti aleatori la consistenza delle prestazioni, e quindi anche il loro rapporto sinallagmatico, non è conosciuta dalle parti e dipende da fatti incerti e futuri tanto da caratterizzare la causa contrattuale.
L’art.1469 c.c. esclude espressamente l’applicazione della disciplina di cui agli art. 1467 c.c. e 1468 c.c. ai contratti aleatori, individuando due categorie di contratti aleatori: i contratti aleatori ex lege, cioè indicati come tali dalle norme che li regolano, e i contratti aleatori i quali, strutturalmente contratti commutativi, diventano tali per volontà delle parti.
Poco vi è da dire sui contratti aleatori ex lege.
Per quanto riguarda i contratti aleatori per volontà delle parti, semplificando le complesse discussioni dottrinali in merito, si può dire che sono tali quei contratti nei quali le parti, e non l’originaria causa contrattuale, prevedono un’assunzione di un rischio superiore a quello proprio dello schema del contratto commutativo di tale entità da modificarne la causa tipica. Tale volontà contrattuale può essere oggetto di una espressa pattuizione ovvero desumersi implicitamente dal dettato contrattuale [10]. Ci si deve quindi chiedere se con la pattuizione di un contratto di opzione di vendita di partecipazioni societarie a prezzo fisso, sicuramente non aleatorio per legge, le parti abbiano voluto trasformare il contratto da commutativo, contratto di vendita di bene seppur a formazione progressiva, in contratto aleatorio. La risposta dovrebbe essere più articolata di quanto questo scritto consenta. Per semplificare distinguiamo il caso in cui l’accordo di opzione sia strumentale alla conclusione di un contratto di cessione di partecipazioni non quotate dal caso in cui le azioni oggetto dell’opzione siano quotate su mercati regolamentati. Per il caso di partecipazioni prive di valore certo di riferimento, l’analisi necessariamente si concentra sul rapporto tra il prezzo pattuito tra le parti e il valore del bene mediato costituito dall’azienda di proprietà della società target.
Sarà infatti l’eventuale modifica del valore del bene mediato azienda, verificatasi tra il signing e il closing, a determinare l’eccessiva onerosità del primo. Pur rinviando, se vi sarà occasione, a separato scritto in quanto ipotesi differente da quella in commento, è opinione di chi scrive che non sia possibile ritenere aleatorio per volontà delle parti il contratto di cessione delle partecipazioni ad esecuzione differita, per la sola assunzione del rischio di modifica della consistenza del bene mediato azienda [11]. In tal caso infatti le ipotesi sono due: i) o nel contratto la possibile modifica di consistenza dell’asset aziendale è regolata da specifiche clausole di garanzia (le c.d. representations and warranties), ii) ovvero, in assenza di specifiche garanzie, la modifica del valore dell’azienda, in quanto afferente al bene mediato azienda, non incide sul sinallagma contrattuale, costituito dal rapporto tra prezzo e trasferimento delle sole partecipazioni, e quindi è giuridicamente irrilevante [12][13].
Nel primo caso la natura aleatoria del contratto è addirittura esclusa dall’accordo visto che le parti regolano specificatamente l’ipotesi ed assumono obblighi volti a neutralizzare (le warranties) l’eventuale sopravventa variazione del valore. Nel caso di assenza di specifiche garanzie, invece, l’evento modifica del valore dell’asset aziendale esce dal sinallagma contrattuale, prezzo verso trasferimento delle partecipazioni, sì da non poter ritenere che lo stesso influenzi la causa contrattuale. Come si dirà nel seguente paragrafo, gli eventi afferenti la società a seguito della vendita, o meglio in pendenza del termine per il trasferimento effetti della proprietà dei titoli, sono stati presi in considerazione dalla giurisprudenza nell’ambito della valutazione dell’alea normale del contratto di vendita di partecipazioni societarie.
Diversa appare l’ipotesi dell’opzione avente per oggetto azioni con prezzo di borsa, cioè la fattispecie giudicata dalla sentenza in commento.
In questo caso è evidente che le parti, in presenza di due valori differenti (uno, variabile, determinato dal mercato borsistico l’altro, invariabile, pattuito nel contratto), hanno consensualmente attribuito al soggetto gravato dall’obbligo di acquisto il rischio della riduzione del valore di borsa con conseguente onerosità del prezzo fisso concordato.
Quindi non sembra azzardato sostenere che la funzione addirittura strutturale del contratto preveda, per volontà delle parti, l’assunzione del rischio esclusivo del possibile differenziale tra prezzo di borsa e prezzo di cui all’opzione put, sì da trasformarlo in un contratto aleatorio per volontà delle parti rendendo incerta la consistenza della prestazione dedotta in contratto [14]. Vero è che all’atto della conclusione dell’accordo di opzione il rapporto tra valore di borsa e prezzo concordato è certo e conosciuto dalle parti, tuttavia esso è destinato sicuramente a modificarsi restando incerto il solo segno della modifica.
Appare a chi scrive che detta ipotesi non si discosti da altre fattispecie prese in considerazione dalla giurisprudenza [15] per concludere a favore della natura aleatoria del contratto per volontà delle parti. Come più volte ricordato, l’eventuale qualificazione del contratto come contratto aleatorio comporterebbe, ai sensi dell’art.1467 terzo comma c.c., l’impossibilità di risolvere il contratto di cessione delle partecipazioni per eccessiva onerosità sopravvenuta.
La normale alea dell’accordo di opzione di cessione di partecipazioni.
Il Giudice, nella sentenza in commento, evita la paludosa questione relativa alla valutazione della natura aleatoria o meno del contratto sottoposto al suo giudizio, ritenendola assorbita dall’esame dell’ampiezza della normale alea contrattuale. A tal fine la sentenza richiama una decisione della Corte Costituzionale che in merito alla natura dei derivati finanziari afferma: “….tali negoziazioni sono volte a creare un differenziale tra il valore della entità negoziata al momento della stipulazione del relativo contratto e quello che sarà acquisito ad una determinata scadenza previamnte individuata. Sul piano funzionale, come noto, le negoziazioni in esame, oltre ad avere una finalità di copertura, possono espletare anche una funzione speculativa, incidente sulla struttura causale del contratto” [16]. Ne conclude il Giudice, con ragionamento privo di vizi logici, che dette caratteristiche contrattuali, ove non sufficienti per qualificare il contratto come aleatorio per volontà delle parti, comunque comportano la definizione di una alea normale del contratto talmente ampia dal far ricomprendere nella stessa qualsiasi fluttuazione del prezzo del sottostante (c.d. alea normale illimitata).
In generale possiamo nuovamente suddividere l’analisi tra contratti di cessione di partecipazioni non aventi un valore fissato da un mercato regolamentato e quelli relativi a azioni quotate su mercati regolamentati.
Nel precedente paragrafo abbiamo concluso che i contratti di vendita di partecipazioni non aventi un valore determinato da un mercato regolamentato non possono essere qualificati come contratti aleatori per volontà delle parti. Seguendo la medesima argomentazione, secondo la quale o la possibile variazione di valore è specificatamente regolata con garanzie contrattuali ovvero essa non rileva per la qualificazione contrattuale in quanto inerente ad un bene mediato (il valore del bene aziendale) non inerente al sinallagma contrattuale, si dovrebbe concludere per una alea contrattuale non dissimile da tutte le ipotesi di vendita di beni. Tuttavia non sono mancate pronunce che, senza addentrarsi nella citata distinzione, hanno più semplicemente ritenuto rientrante nella normale alea della compravendita di partecipazioni societarie il rischio della variazione del valore delle partecipazioni derivante da eventi anomali, ma pur sempre prevedibili, quali il fallimento della società [17]. La soluzione sarà quindi rimessa alla valutazione del caso di specie.
In relazione al diverso caso di vendita avente per oggetto partecipazioni dotate di un prezzo di riferimento certo si è detto, nel precedente paragrafo, come la struttura stessa di un accordo di opzione put a prezzo fisso di azioni quotate in borsa, comporti l’accettazione da parte dei contraenti del rischio della modificabilità nel tempo del valore della prestazione costituita dal prezzo pattuito. Qualora non si ritenga che tale caratteristica trasformi il contratto commutativo di vendita in contratto aleatorio per volontà delle parti, bisogna quindi chiedersi se tale cosciente e volontaria introduzione di un rischio specifico abbia una incidenza, quanto meno, sulla determinazione della normale alea contrattuale. Sarà quindi opportuno in primo luogo verificare la normale alea del tipo contrattuale in esame, nel caso in esame la vendita, e quindi quella propria dello specifico contratto oggetto di valutazione, nel nostro caso l’opzione di vendita di azioni quotate in borsa, prevedendo un prezzo non variabile nel tempo. Per normale alea di un contratto commutativo si intende, con brutale sintesi, l’incertezza del suo risultato economico, cioè del rapporto tra le due prestazioni dedotte in contratto, da un punto di vista meramente quantitativo. Essa si distingue dalla natura aleatoria del contratto che, in maniera più invasiva, pur caratterizzandosi sempre in termini di rischio, per la sua rilevanza e incertezza caratterizza addirittura la causa contrattuale.
Da sempre proprio i contratti di borsa, caratterizzati per natura dalla fluttuazione dei prezzi conseguenti alle contrattazioni del titolo sul mercato regolamentato, sono considerati contratti nei quali la normale alea è talmente estesa da ricomprendere anche notevoli variazioni dei valori delle prestazioni in ridotti lassi di tempo [18]. Tale caratteristica è talmente connessa allo schema contrattuale, da aver portato in passato alcuni studiosi a ritenere tutti i contratti di borsa contratti aleatori per volontà delle parti [19]. Se tale indirizzo nel tempo è stato oggetto di critiche e di abbandono, è tuttavia unanime l’opinione che contratti che hanno per oggetto la cessione di un titolo quotato, a prezzo fisso o comunque sganciato dall’andamento della quotazione, seppur commutativi sono caratterizzati da una alea particolarmente ampia [20] .
La conclusione appare particolarmente corretta laddove il contesto nel quale viene pattuito l’accordo dimostra come l’intento delle parti fosse quello speculativo [21] ovvero di controprestazione di un più complesso accordo contrattuale [22]. E’ bene ricordare che la valutazione della estensione della normale alea contrattuale è rimessa caso per caso al giudizio del giudice di merito e, se correttamente motivata, si sottrae al giudizio di legittimità proprio perché valutazione di fatto e non qualificazione giuridica [23]. Peraltro in molte pronunce giurisprudenziali si può notare una tendenza a valutare più la prevedibilità dell’evento che avrebbe portato alla eccessiva onerosità del contratto, che non la sua incidenza sull’alea normale contrattuale, così facendo coincidere di fatto il giudizio sul requisito della straordinarietà e della normale alea contrattuale [24].
Non a caso anche nella sentenza del Tribunale di Milano le considerazioni sulla prevedibilità e straordinarietà dell’evento fluttuazione del prezzo dei titoli si fonde, in continuo argomentativo privo di discontinuità, con le motivazioni in punto alea contrattuale [25]. E’ quindi evidente che la conclusione del giudice ambrosiano, il quale esclude l’applicazione del rimedio di cui all’art.1467 c.c., anche in ragione della comprensione delle fluttuazioni del prezzo di borsa delle azioni nella normale alea del contratto stipulato tra le parti, appare corretta e aderente anche agli indirizzi più restrittivi.
Forse l’unico dubbio che può insorgere è se, anche alla luce della definizione dei contratti derivati della Corte Costituzionale sopra richiamata, di fatto un contratto quale quello in oggetto non debba essere considerato contratto aleatorio per volontà delle parti. Non può sfuggire infatti che in una opzione put di azioni quotate in borsa che prevede un prezzo fisso il rischio della fluttuazione del prezzo è una certezza, essendo incerto solo il segno di tale variazione, e costituisce elemento fondante e conosciuto dalle parti fin dalla sua conclusione [26].
D’altro canto è evidente che la qualificazione di un contratto tipico commutativo come contratto aleatorio per volontà delle parti comporta maggiori dubbi interpretativi rispetto alla conclusione che la causa dello squilibrio delle prestazioni rientra nella normale alea contrattuale. Ne consegue che, condividendo le due ipotesi la medesima conseguenza giuridica di escludere l’applicabilità dell’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità [27], tale iter argomentativo sarà spesso preferito dai giudici di merito a tutela della inappellabilità della pronuncia.
Pubblicato, settembre 2014, su Le Società (ed. IPSOA), Anno XXXIII, p.927