Compensi degli amministratori delle società partecipate da enti pubblici: il programma di razionalizzazione delle partecipate locali del Commissario Straordinario per la revisione della spesa
Published on 9th Sep 2014
Grande attenzione ha creato e sta creando l’intenzione del Governo di intervenire sulle società partecipate da enti pubblici al fine di ridurre la spesa pubblica che si vuole ad esse collegata.
Nell’ambito di tale ampio argomento l’attenzione dell’opinione pubblica si è concentra sul numero ed il trattamento economico dei membri degli organi societari di tali società.
Il 7 agosto il Commissario Straordinario per la revisione della spesa ha presentato il Programma di razionalizzazione delle partecipate locali, documento che rappresenta il disegno di intervento, ove politicamente avallato dal Governo, per ridurre la spesa grazie alla riduzione del numero delle partecipate pubbliche e alla imposizione di regole volte a contenere i costi operativi.
Alcuni cenni rilevanti della Relazione sono dedicati alle remunerazioni degli organi sociali. Tali indicazioni vanno a sovrapporsi ad una copiosa normativa, con la quale negli ultimi anni si è cercato di porre freno ad una spesa non sempre giustificata ne dai risultati delle società ne dalla natura dell’attività svolta dalle stesse e quindi dall’utilità pubblica che ne dovrebbe derivare.
E’ bene premettere che quanto previsto dal programma Cottarelli, al pari dei limiti oggi vigenti, non dovrebbe trovare applicazione alle società quotate in borsa, alle società emittenti strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati nonché alle società di gestione del risparmio a totale partecipazione pubblica ed a quelle direttamente partecipate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Alcune di tali società sono destinatarie di specifica normativa, ci si riferisce in particolare alle società partecipate dal MEF).
Attuale assetto normativo per le società pubbliche non quotate
Le società pubbliche, per quanto destinatarie di una tanto ampia quanto caotica legislazione speciale, sono rette dalle norme del codice civile in materia di società di capitali, come correttamente ricordato dall’art.4 comma 13 del Dl 95/2012.
Per le società per azioni bisognerà quindi in primis fare riferimento all’art.2364 c.c. punto 3), che annovera tra le competenze dell’assemblea dei soci la determinazione del compenso spettante agli amministratori, e più specificatamente all’art.2389 c.c.
Quest’ultima norma, non senza dubbi interpretativi, si può genericamente riassumere in quattro punti:
i) primo comma: conferma della competenza dell’assemblea a determinare il compenso degli amministratori;
ii) secondo comma: possibilità che i compensi siano costituiti in tutto o in parte da partecipazione agli utili ovvero in stock option (ipotesi quest’ultima apparentemente vietata per le società pubbliche in ragione di quanto previsto dalle norme che verranno in seguito esposte);
iii) terzo comma: competenza del consiglio di amministrazione di determinare i compensi spettanti ad amministratori investiti di particolari cariche, sentito il parere del collegio sindacale; tale regola può subire una deroga qualora lo statuto sociale preveda la possibilità per l’assemblea di determinare un compenso complessivo da destinare ai membri dell’organo amministrativo, quindi comprensivo anche delle remunerazioni destinate agli amministratori titolari di particolari cariche, tendenzialmente coincidenti con il presidente del C.d.A. e soprattutto con l’Amministratore Delegato.
In sintesi il compenso dei membri del consiglio di amministrazioni è determinato, usualmente, dall’assemblea dei soci (Ai fini del presente scritto non pare necessario addentrarsi nella problematica ricostruzione del significato del “all’atto della loro nomina”: basti oggi dire che la determinazione assembleare dei compensi può avvenire anche in assemblea separata da quella di nomina dei membri dell’organo amministrativo) mentre quello eventualmente spettante all’amministratore delegato e al Presiente per le cariche a loro conferite, ipoteticamente aggiuntivo rispetto a quello di cui al primo comma, viene determinato dal Consiglio di Amministrazione.
Per le società a responsabilità limitata vige una deregulation determinata dall’abrogazione con la riforma del 2003 del rinvio anche automatico alle norme dettate in materia di s.p.a. sì che è lo statuto in genere a regolare la competenza degli organi a deliberare i compensi destinati agli amministratori.
Ne consegue una regolazione che proprio in merito ai compensi spettanti ad amministratori delegati e presidenti del C.d.A. lascia ampio margine all’organo amministrativo, il quale potrà deliberare a maggioranza, senza neppure la necessaria astensione del destinatario del compenso (Non versa in conflitto di interessi l’amministratore in punto determinazione del suo compenso a meno che lo stesso non sia manifestatamente sproporzionato rispetto all’attività prestata).
Venendo ai limiti imposti da specifica normativa alle società pubbliche, è intervenuta la Legge 296/2006, legge finanziaria 2007, che con i commi 725, 726, 727 e 728 ha sottoposto i compensi degli amministratori delle società a partecipazione pubblica totale o parziale e diretta o indiretta, a specifici e stringenti limiti quantitativi.
Per effetto di tali norme infatti i compensi destinati al Presidente e ai membri del C.d.A. non possono essere superiori al 70% per il Presidente e al 60% per gli altri componenti, quindi compreso l’amministratore delegato, dell’indennità spettante al sindaco o presidente di Provincia che controllano la società.
Per espressa previsione di cui al comma 725, ritenuta però applicabile anche al comma 726, tali corrispettivi possono essere incrementati da una indennità di risultato, comunque non superiore al doppio del compenso onnicomprensivo di cui al precedente paragrafo.
Nel caso di partecipazione non totalitaria dell’ente pubblico, è previsto un meccanismo di incremento percentuale in funzione della quota detenuta dal privato.
A tali vincoli deve aggiungersi l’obbligo, introdotto dalla Legge di Stabilità 2014 con il comma 554, per le società titolari di affidamenti diretti per un valore superiore all’80% del valore della produzione che abbiano ottenuto un risultato negativo negli ultimi tre esercizi, di ridurre del 30% il compenso degli amministratori.
Ne consegue che dal 2007 i vincoli imposti dalla Finanziaria 2007 hanno comportato una drastica limitazione degli importi spettanti agli amministratori ed in particolare agli amministratori delegati (Considerando le indennità medie dei sindaci delle città più rilevanti (capoluogo di provincia o con più di 20.000 abitanti) i compensi degli amministratori possono variare da Euro 2.100 a Euro 4.500 (compresa l’indennità di risultato).
Tali importi spesso (ad esempio nelle società non quotate costituite da riunioni di piccoli comuni) non appaiono adeguati alla patrimonializzazione ovvero al volume d’affari delle società stesse e non consentono una adeguata distinzione tra le retribuzioni attribuite ai consiglieri con delega e quelle attribuite ai consiglieri privi di deleghe.
Inoltre il sistema appare poco adatto alla struttura di governance delle società in genere ed in particolare a quello necessariamente adottato dalle società pubbliche per effetto di quanto previsto dal Dl 95/2011 che impone limitazioni alle deleghe attribuibili al Presidente ed al numero di amministratori dotati di delega.
Il Programma Cottarelli sul punto corrispettivi agli amministratori
Correttamente il Programma Cottarelli individua nel numero delle società a partecipazione pubblica la principale diseconomia di sistema, tanto che alla loro riduzione è dedicata la maggior parte della relazione.
Tuttavia la relazione rileva come siano circa 37.000 le cariche nei consiglio di amministrazione delle partecipate pubbliche con un costo pro quota per il settore pubblico di circa 450 milioni.
Il Commissario Straordinario suggerisce quindi sia di intervenire nuovamente sulla riduzione del numero degli amministratori, anch’esso introdotto dalla Finanziaria 2007 e confermato con ulteriori disposizioni dal DL 95/2011, sia di procedere con “l’ulteriore limitazione dei compensi degli organi di gestione sulla base della complessità della realtà societaria e della presenza di deleghe”.
A tale suggerimento si associa l’invito ad introdurre un sistema di valorizzazione degli elementi di competenza ed indipendenza degli amministratori.
E’ tuttavia evidente che la valorizzazione della competenza non può che passare per una offerta di remunerazione adeguata a quelle reperibili dai manager sul mercato.
Per questo pare che la Relazione Cottarelli suggerisca un superamento dell’attuale sistema di taglio lineare parametrando i corrispettivi degli amministratori al compenso spettante all’amministratore dell’ente pubblico che partecipa la società ed indifferente alle dimensioni, attività e risultato della stessa.
Non a caso la Relazione alla Appendice 2, punto 2.3 propone, come misura più rilevante, l’estensione di quanto previsto dall’art.23 bis del Dl 201/2011 per le società controllate dal MEF a tutte le società pubbliche.
L’art.23 bis prevede che le società siano suddivise in fasce a seconda di parametri economico-strutturali e che ad ogni fascia sia attribuita, come importo massimo del corrispettivo attribuibile all’amministratore, una percentuale della retribuzione di riferimento, individuata dalla retribuzione del Primo Presidente della Corte di Cassazione.
Il relativo decreto attuativo emesso dal MEF (Decreto MEF n.63 del 13 marzo 201) suddivide le società in 3 fasce secondo tre parametri: i) valore della produzione; ii) investimenti; iii) numero dipendenti. Alla fascia 1 viene attribuito il limite pari al 100% della retribuzione Primo Presidente della Corte di Cassazione, alla fascia 2 l’80% ed alla fascia 3 il 50%.
E’ bene chiarire, per quanto il tenore letterale della Relazione sul punto possa creare qualche dubbio, che il suggerimento pare essere quello di adottare il medesimo principio, divisione per fasce secondo quei parametri, e la medesima retribuzione di riferimento, quella del Primo Presidente della Corte di Cassazione, ma modificando sia la determinazione del valore numerico dei parametri e forse anche le percentuali attribuibili.
Infatti la disciplina integrale dettata dal regolamento attuativo dell’art.23 bis del Dl 201/2011, porta alla determinazione di 3 limiti massimi assai elevati rispetto a quanto in vigore ad oggi per effetto della Finanziaria 2007, prevedendo per il 2014 il limite più elevato di Euro 311.658,53 e quello più ridotto di Euro 155.829,26.
Tuttavia si può presupporre, e forse ci si deve augurare, che perseguendo il duplice scopo di limitare la spesa ma al tempo stesso tutelare la competenza, il legislatore adotti il principio consentendo una maggiore modulazione del compenso nelle società con risultati positivi (anche in termini di risultato ed investimenti, non solo di occupazione) ed una penalizzazione delle società di ridotte dimensioni e di scarsa marginalità o investimento.
In questo senso ci si deve anche chiedere se l’indicazione contenuta nella Relazione Cottarelli sia quella di introdurre un limite per la sola determinazione demandata al Consiglio di Amministrazione, cioè di cui al terzo comma dell’art.2389 c.c., ovvero se l’abbandono di un sistema di determinazione complessiva della retribuzione massima risponda al principio per cui si vuole limitare la libera determinazione del C.d.A., mentre l’assemblea dei soci, in quanto rappresentativa del socio stesso, è lasciata ampia autonomia.
La soluzione sarebbe coerente con il principio di responsabilità patrimoniale delle società controllanti ai sensi della Legge di Stabilità 2014 (della quale Cottarelli auspica una applicazione anticipata rispetto ai termini ivi previsti), ma dovrà trovare esplicita conferma, vista l’importanza di tale modifica di impostazione.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 9 settembre 2014